LA RIPROTESIZZAZIONE OGGI

di G. Gemelli 

Come già accennato in un precedente articolo, nei paesi industrializzati, l’allungamento della vita media ha fatto nascere problematiche in vari settori (Previdenziali, sociali, medico).

Un campo nel quale il prolungamento della vita ha profondamente inciso è (sotto il profilo medico-chirurgico) quello relativo a soggetti già portatori di protesi di grandi articolazioni sottoposti a carico (anca e ginocchio). Chiarisco: l’indicazione dell’età minima (con le dovute frequenti eccezioni) in cui era previsto l’intervento di portesizzazione era stabilita, almeno inizialmente , per convenzione  quasi unanime, intorno ai 60 anni nella supponenza che la durata della protesi fosse all’incirca di 15-20 anni, come tempo massimo, coincidente in genere con l’età media di sopravvivenza dei pazienti operati (75-80 anni).

La suddetta indicazione di arco di età di riprotesizzazione ha subito, attraverso il perfezionamento della tecnica e della qualità dei materiali adoperati, una notevole estensione dell’età protesizzabile, tale che non è più tanto raro riscontrare protesizzati ad età inferiore a 50 anni.

La risultante di quanto sopra detto è che oggi un numero sempre crescente di soggetti ha la necessità di essere “riprotesizzato”. Ciò per tante ragioni prima tra tutte l’allungamento della vita media. Tale necessità deriva non tanto dall’usura dei componenti protesici, ma piuttosto dalla scarsa tenuta degli stessi in  rapporto a riassorbimeto osseo (sia dell’endostio del canale midollare e del fondo acetabolare) della base di impianto della protesi.

Tutto ciò porta distacco del cemento (nelle protesi di vecchia concezione) o a scarsa tenuta della protesi biologica (nelle protesi meno vetuste) per allargamento del canale midollare e/o per riassorbimento del fondo cotiloideo.
Ne risulta in tutti e due i casi (sono i più frequenti casi di instabilità ma non gli unici) una grave insufficienza dell’impianto protesico che diventa doloroso, con limitazione dell’escursione articolare, con accorciamento dell’arto e, in una parola, con grave danno deambulatorio.

Nasce così la necessità di “cambiare” la vecchia protesi ormai inadatta ed inadeguata: l’ottantenne di oggi non accetta la menomazione deambulatoria e richiede (talvolta a sproposito quando condizioni legate ad altri stati patologici lo sconsiglierebbero) di essere sostituita ad una vita deambulatoria pressoché normale.
Quindi la necessità di perfezionarsi in tecniche di riprotesizzazione è sempre più necessaria perché la frequenza sempre maggiore è tale da fare ipotizzare che tra 20 anni tale intervento possa eguagliare il numero di primo impianto.
L’intervento di riprotesizzazione delle grosse articolazioni esige molta esperienza, un planning preoperatorio accurato, una scelta di tecnica chirurgica ineccepibile e pronta a risolvere incidenti di percorso sempre possibili, un impiego di materiali collaudati e adatti al singolo caso.

Un intervento ben riuscito assicurerà all’ottantenne riprotesizzato una vita deambulatoria ottimale e concorrerà a rendere meno deficitaria le ridotte funzioni legate alla senescenza. E che tale esigenza sia particolarmente sentita nella terza età è documentata da frequenti fatti di cronaca che riguardano personalità note al grande pubblico: è il caso di una nota attrice americana, oggi sicuramente molto anziana, che pur di dimostrare la sua efficienza, (e quella deambulatoria è tra le più appariscenti) non ha esitato a sottoporsi a ben 5 interventi di riprotesizzazione della anche. Il caso fa riflettere anche sulla estrema determinazione della donna che mai si arrende alla menomazione e dall’altro lato sulla scarsa arrendevolezza dei chirurghi ortopedici d’Oltreoceano, ostinati a ripetere più volte un intervento quando quest’ultimo non ha (capita anche a loro) dato risultati soddisfacenti.